4 maggio 2022
Gentile Sig. Direttore,
ai sensi della Legge sulla Stampa, ma in particolare affidandola alla Sua cortesia, La prego di pubblicare la seguente missiva inerente all’articolo pubblicato a pag. 19 del Il Fatto Quotidiano, a firma Federico Pontiggia, il 27 aprile 2022.
La mia lettera più che una rettifica è un grido di dolore. Marco Bellocchio non è ancora pago del dolore che semina, incurante dei sentimenti altrui, e dimentica che errare è umano e perseverare diabolico. So benissimo che la vita e la morte di mio padre sono un “business” e a me fa orrore anche solo l’idea. L’avere il potere di compiere un’azione non significa che tale azione sia giusta ed etica di per sé. Se avessi una bacchetta magica, spedirei Bellocchio – per soli venti muniti – nella nostra vita a provare su di sé la devastazione totale. Ma preferisco parlare dell’arte. L’arte è universale in quanto evocatrice dello spirito umano libero e della sua trascendenza verso l’eterno. Girare e rigirare un coltello in una piaga, sempre aperta, non assomiglia all’arte bensì alla tortura. So che gli uomini fanno un peccato ogni volta che provocano dolore e questo dolore finirà per stritolarli.
Nei 55 giorni del ’78 noi, tutti noi, sapevamo benissimo che papà era vivo, ma che non sarebbe mai tornato perché il destino terreno dei testimoni, cioè dei martiri, è la morte.
Con gratitudine
Maria Fida Moro
Non c’e’ arte dove c’e’ “mistificazione”, non c’e’ giustizia, non c’e’ pace, non c’e’ verità.
L’unico film, su mio nonno Aldo Moro, che riconosco e’ “Piazza delle Cinque Lune” di Renzo Martinelli.
Tutti gli altri mi sembrano fatti senza amore, non nella verità, a dispetto della verità.
Se fosse capitato a loro ciò che e’ capitato a noi avrebbero almeno il rispetto del silenzio.
Luca Moro